LA CHIESA DI SANT’ILARIO
La chiesa di Sant’Ilario di Vervio sorge nel centro storico del paese, stretta fra l’antica casa parrocchiale e quel che rimane di un imponente ossario settecentesco trasformato in casa parrocchiale negli anni ’60. Il documento più antico che la riguardi risale al 1257: l’edificio affonda quindi le sue origini in epoca medioevale, quando Vervio era un piccolo paese ecclesiasticamente dipendente da Mazzo che, a quel tempo, era capoluogo di un’antica e vasta pieve comprendente il territorio da Sernio alla stretta di Serravalle sopra Sondalo. La primitiva chiesa era più piccola e bassa e aveva una facciata a capanna forata da un occhio messo in luce dal restauro, ma di quell’antica struttura non rimangono che alcuni muri della navata e la parte bassa del campanile, che ancora conserva alcune bifore romaniche. La sagrestia di sinistra, visibilmente più arcaica di quella di destra, e le due cappelle laterali sono probabilmente state aggiunte in epoca rinascimentale, quando la chiesa fu riammodernata e allargata fino a raggiungere le dimensioni attuali, fase alla quale risale anche l’affresco scoperto all’esterno, sulla fiancata di sinistra, dietro un muro aggiunto in epoca successiva. Il gusto popolareggiante, i colori vivaci, l’insistito linearismo e la cornice a tortiglione consentono di attribuire l’opera a un pittore noto col nome di “Giovannino da Sondalo”, che negli anni a cavallo fra Quattro e Cinquecento ebbe occasione di lavorare nel battistero di Mazzo e nelle chiese di Santo Stefano e di Santa Maria. Il dipinto rappresenta la Crocifissione: ecco quindi San Giovanni e la Madonna, come di consueto rappresentati ai piedi della croce, la Maddalena inginocchiata – se ne scorge solo il volto – , molti soldati armati e alcuni angeli dar vita ad una composizione affollata ed emotivamente coinvolgente, anche se il tempo ha purtroppo sciupato l’affresco che originariamente doveva essere ancora più vivace e ricco di particolari. Non solo; la superficie affrescata era un tempo più estesa: sulla destra c’era infatti un’altra scena, come ben si intuisce dall’andamento della cornice a tortiglione, dalla mano benedicente di una perduta figura e da un ulteriore frammento, forse riferibile alla parte inferiore di un’altra Crocifissione. Circa cinquant’anni dopo, un altro famoso pittore, il grosino Cipriano Valorsa, sarebbe stato chiamato a lavorare per la chiesa; reca infatti la sua firma e la data 1551 una pregevole ancona lignea con la Madonna col Bambino nello scomparto centrale, gli Evangelisti nella predella, l’Eterno benedicente nella cimasa e, negli scomparti laterali, San Giovanni Battista e Sant’Ilario in abito vescovile. Purtroppo però questi due dipinti sono tutto ciò che rimane degli arredi e delle decorazioni rinascimentali; le poche altre informazioni di cui disponiamo circa l’aspetto della vecchia chiesa provengono infatti dalla descrizione dell’edificio stesa dal vescovo Filippo Archinti nel 1614, quando la visita pastorale lo portò anche a Vervio: la navata era in quel momento ancora coperta da un tetto con capriate in vista, la volta dell’abside era affrescata, i due altari laterali dovevano essere demoliti, il fonte battesimale non aveva la copertura lignea e i sepolcri risultavano privi delle necessarie coperture. Di li a qualche anno l’edificio avrebbe però subito profonde modifiche e molto probabilmente gli abitanti di Vervio, quando il vescovo Archinti fece loro visita, stavano già pensando a come rendere più bella la loro chiesa. Nel 1610 Vervio aveva infatti ottenuto il diritto di erigersi una parrocchia autonoma, e fu certo questo evento a far nascere l’esigenza di ampliare la vecchia chiesa e di costruirvi accanto la casa per il parroco, ancora esistente ma purtroppo in stato di abbandono. I lavori di ristrutturazione ebbero inizio del 1623 sotto la direzione del capomastro luganese Antonio Casella, nel settembre 1624 la chiesa fu consacrata da mons. Sisto Carcano ma il cantiere sarebbe rimasto aperto fin verso la metà del secolo e, nel loro insieme, gli interventi avrebbero modificato completamente l’aspetto dell’edificio. L’aula fu sopraelevata, la costruzione della grande volta a botte richiese un rafforzamento delle fiancate che comportò, a monte, il parziale occultamento della superficie affrescata, le vecchie finestre furono tamponate in favore di aperture più ampie e un preesistente sotterraneo venne attrezzato con inferriate, forse per essere utilizzato come ossario. L’abside affrescata citata dall’Archinti fu demolita per far posto ad un più ampio presbiterio, una nuova sagrestia fu aggiunta sulla destra, mentre il campanile fu dotato di due campane e di un orologio predisposto da Gervasio detto Scalvino di Cepina. Così trasformata, la chiesa richiedeva a quel punto nuovi arredi e decorazioni in linea con il gusto del tempo e con le prescrizioni pastorali, sempre più precise in materia, e se per gli aspetti costruttivi ci si era affidati a maestranze ticinesi, cosa che peraltro non stupisce vista l’assiduità con cui in quegli anni capomastri e muratori ticinesi venivano chiamati a lavorare nelle nostre zone, per l’esecuzione degli arredi e di altri piccoli interventi rilevante fu l’apporto delle maestranze locali. L’intagliatore Stefano Spagnoletto e l’indoratore Simone Alberti di Bormio risultano impegnati, nel 1627, nell’esecuzione del nuovo altar maggiore; il tagliapietra Bernardo da Grosotto nel 1632 lavorò alla porta laterale di destra che, al tempo, era l’unica entrata secondaria, essendo stata aggiunta in epoca moderna quella sull’altro lato, mentre si deve a Baldassarre Feli di Tirano l’altare ligneo del Santissimo Rosario, eseguito negli anni 1648-1653 su incarico della scuola del Santissimo Rosario. Nell’altra cappella trova invece posto un altare proveniente dalla vicina chiesa dedicata a Sant’Antonio e alla Beata Vergine del Carmelo, altare che non a caso reca un dipinto di Francesco Piatti raffigurante Sant’Antonio da Padova con Bambino, la Madonna e angeli. Per la decorazione a stucco, forse su suggerimento del capomastro Antonio Casella, si decide invece di affidarsi a maestranze non valtellinesi specializzate in tale settore e già molto conosciute nella nostra zona per aver eseguito importanti cicli decorativi: nel 1633 fece la sua comparsa al cantiere il celebre stuccatore ticinese Alessandro Casella che, con la collaborazione di Bernardo Bianchi, realizzò l’elaborata decorazione in stucco che, nella parete di fondo del presbiterio, incornicia due bei dipinti rappresentati scene della vita di Sant’Ilario. Negli anni seguenti i lavori interessarono il “recinto sacro”, vale a dire l’area circostante a quel tempo ancora occupata da un cimitero cintato con porta d’accesso. La parrocchiale non smise tuttavia di essere al centro dell’attenzione e nel 1655, su suggerimento del vescovo Lazzaro Carafino, un ignoto artista fu incaricato di dipingere in facciata l’immagine del santo titolare. Da ultimo, nel 1668, sulla sommità del frontone fu collocata la croce. Nel frattempo sulla sinistra della chiesa era stata avviata la costruzione dell’oratorio dei Disciplini, sorto senz’altro prima del 1651, dal momento che un inventario di quell’anno già ne attesta l’esistenza. Questa piccola struttura, collegata alla casa parrocchiale e orientata come la chiesa, quindi con presbiterio verso Est, si presenta al momento completamente spoglia, ma da qui proviene la tela raffigurante la Madonna col Bambino sant’Ilario san Bernardino da Siena e due confratelli Disciplini al momento conservata nella chiesa parrocchiale. Due delle tele appese sulle pareti della navata, opera di Francesco Piatti, provengono invece dalla già citata chiesa di Sant’Antonio e della Madonna del Carmelo, come pure i due piccoli confessionali addossati alla controfacciata, realizzati verso la fine del Settecento da Andrea Rinaldi e Matthias Peder. Fu invece realizzato appositamente per la chiesa parrocchiale il monumentale ciborio in legno dipinto e dorato, opera attribuita a Michele Cogoli, presente a Vervio insieme ai figli all’inizio del Settecento. Non sappiamo invece chi abbia eseguito le splendide porte lignee che danno accesso al coro, certo è che la ricchezza di questi intagli e lo splendore delle dorature conferiscono grande importanza allo spazio presbiteriale. Fra Sette e Ottocento la chiesa non avrebbe subito altre significative modifiche, se non la sopraelevazione del campanile, effettuata verso il 1816 con l’aggiunta delle due campate finali e del cupolino. C’è però un altro episodio che merita di essere citato, anche se la sua collocazione nel tempo rimane al momento problematica: in un momento imprecisato furono tamponati i grandi arconi che il restauro ha riportato in vista sulla fiancata di sinistra, e tutto fa pensare che l’intervento sia stato effettuato per regolarizzare la parete e per potervi addossare un piccolo fabbricato non più esistente ma di cui gli anziani del paese si ricordano; ospitava infatti l’archivio comunale e fu abbattuto durante la prima metà del Novecento. È inoltre il caso di ricordare come nel 1752 risultasse in costruzione il grande ossario affacciato sulla piazza, anche se purtroppo questa struttura architettonica, di una certa imponenza e forse originariamente decorata al suo interno, appare oggi di difficile lettura a causa dei pesanti interventi che pochi decenni orsono l’hanno trasformata nella nuova casa parrocchiale. Lungo il corso del Novecento, si è purtroppo “infierito” anche sulla chiesa. Le finestre della navata sono state tamponate, pareti e volte sono state appesantite da cupe decorazioni, mentre un discutibile pavimento in piastrelle è stato sovrapposto ai bei lastroni di pietra originali, in parte recuperati alla vista in prossimità del fonte battesimale. Da ultimo, nel tentativo di nascondere alla vista i danni che l’umidità provocava, nell’aula e nelle due cappelle laterali sono state realizzate delle contropareti che hanno però compromesso la lettura della struttura. E con questo arriviamo ai nostri giorni e al restauro in corso per il quale rimando al contenuto che segue; basti qui osservare come, con la rimozione delle contropareti e con la riapertura delle finestre cinquecentesche, la navata abbia riacquistato spazialità e luminosità. Per quanto poi riguarda l’esterno, il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto di chi ricorda in quali condizioni versasse la struttura. L’edificio più importante del paese, quello intorno al quale per secoli si è svolta la vita della comunità, ha insomma riacquistato il suo splendore e svelato segreti rimasti fino ad ora nascosti.